LA GRAFICA DELLE CONSOLE, LA SENSIBILITÀ ESTETICA DEI VIDEOGIOCATORI

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N.B. Nell'ottica di Ludenz quale progetto di convergenza crossmediale, quella che segue è la trascrizione in forma testuale - arricchita da link e immagini - dell'episodio#4 di Reflexions, la video-rubrica di Ludenz basata su riflessioni afferenti alla cultura del (e oltre il) videogioco.

È possibile visionare l'episodio integrale cliccando il video sopra.

   "Un tempo risultava più naturale identificare l’appeal verso una macchina da videogioco - un home computer, o una console - secondo la sua restituzione grafica su schermo. C’era qualcosa che distingueva e identificava la pasta audiovisiva di uno ZX Spectrum rispetto ad un Commodore 64, o un Atari ST rispetto a un Commodore Amiga, ad esempio. Così come, se si prestava una certa attenzione, si poteva ancora provare a riconoscere e distinguere PlayStation 2 rispetto alla prima Xbox, o Nintendo GameCube rispetto a Sega Dreamcast. I chip grafici e sonori dedicati garantivano al videogiocatore una riconoscibilità che finiva naturalmente con l’interessare la sua sensibilità estetica, il suo gusto personale.

Il fotorealismo, ossessione e sinonimo di evoluzione
del video gioco: un problema culturale.

 La tensione verso il fotorealismo, così come il focalizzarsi su caratteristiche quali accesso alle memorie, velocità di caricamento, illuminazione dinamica e densità di dettaglio su schermo grazie a risoluzioni elevate, rappresentano qualcosa alla quale i grandi produttori hardware oggi si indirizzano naturalmente quale attestazione tecnologica di progresso in ambito gaming. La domanda è se esistono conseguenze, in questa tendenza, per la sensibilità estetica del videogiocatore. E se ciò possa collegarsi alle affermazioni di molti gamers riguardo lo scarso entusiasmo provato per la prossima generazione tecnologica di console, dopo aver visto trailer e gameplay dei relativi videogiochi.

Guardando oltre i servizi di accesso in sottoscrizione come PlayStation Plus, il Game Pass di Microsoft, il Cloud Gaming in generale o la stessa forma esteriore delle nuove console, viene quasi naturale pensare che le macchine da gioco odierne non possiedano più un'anima riconoscibile – definiamola così - che le distingua e che sappia identificarle. Per certi versi si può affermare che non esiste più uno "stile" restituito da un processore grafico - stile inteso in una accezione estetica, in questo caso - che può e permette di identificare il sapore “artistico” di una console rispetto a un'altra.


Nessuna visibile specificità grafica rappresentativa.
Oggi c'è bisogno di analisi tecniche specializzate per distinguere
una macchina da gioco da un'altra.


Oggi c’è piuttosto bisogno di analisi tecniche approfondite, e quindi molto spesso specializzate, per distinguere una macchina da videogioco da un’altra. Dal frame-rate, passando alla potenza di calcolo in virgola mobile, si può constatare come l’attenzione oggi si sia molto concentrata sulla considerazione fortemente tecnica, verso le prestazioni derivate dalle componenti hardware di una macchina da videogioco. Se non fosse per la forma, per le diverse interfacce utente o per i controller, risulterebbe impossibile distinguere, semplicemente osservando un titolo girare su schermo, se è frutto di una specificità rappresentativa di PlayStation 5 o di una Xbox Serie X, ad esempio. E lo stesso, si presume, sarà per il futuro.  
Diciamo che nel suo puntare a proporre differenti idee di dispositivi e modi di fruizione del videogioco con annessi giocattoli tecnologicamente comunicanti con la console, Nintendo è probabilmente l’azienda, fra i grandi produttori hardware, ancora in grado di regalare una idea di differenza connessa alle tecnologie dell’intrattenimento videoludico.
Ora, mettendo da parte l'esistenza della Realtà Virtuale, una tecnologia che, seppur concettualmente datata nella sua formulazione, risulta avanguardistica nella sua applicazione odierna riguardo al ridefinire il videogioco e le conseguenze dei suoi effetti sensoriali sull'uomo, la domanda che sorge, di nuovo, è questa:


Nella convinzione di considerare il fotorealismo una attestazione di progresso tecnologico del videogioco, esistono conseguenze per la sensibilità estetica del videogiocatore?



La sensibilità estetica è qualcosa che si sviluppa nell’uomo grazie alla diversità delle stimolazioni ricevute. Le sensazioni, le percezioni, così come appunto la sensibilità che da queste condizioni si andrà a formare, sottendono anche il generarsi di un gusto personale. Rientrando nel campo dell’arte, anche i videogiochi chiamano ad una esperienza estetica data dal coinvolgimento audiovisivo che stimola pensiero e immaginazione di un essere umano. Da questo punto di vista si può affermare che l’esperienza estetica è un campo aperto, fluido, non oggettivo, bensì connesso al sentimento e quindi alla soggettività. Per cui l’arte – compresa quella videoludica – non si basa su norme o canoni precostituiti, che stabiliscono che la risoluzione 8K a 120 frame al secondo sia la perfezione, ciò a cui bisogna aspirare quando si desidera il meglio che può offrire il videogioco, ad esempio.
Ora, volendo riflettere sulla sensibilità estetica dell’uomo, bisogna riconoscere che l’arte, così come il bello, sono nozioni individuali, che fanno appello al sentimento più che alla ragione. Se vogliamo, la percezione estetica è considerabile una sensazione corporea, intuitiva, non connessa alla riflessione.
Tornando quindi ai videogiochi, se l’estetica si basa su aspetti soggettivi quali appunto i sentimenti e il gusto personale del videogiocatore, non esiste una dimensione universale di giudizio quando qualcosa viene definito bello nel videogioco. Non esiste che il bello sia oggettivamente dato dal fotorealismo, dalla illuminazione in ray tracing o - di nuovo - dalla risoluzione in 4K a 120 frame al secondo.
Eppure è proprio qui che si può vedere come oggi, al fine di immergere e emozionare il giocatore, ciò che il marketing dei grandi produttori di tecnologia dedicata all’intrattenimento videoludico cerca di promuovere e di far passare è che la soggettività, i sentimenti possibili e i gusti estetici di ogni videogiocatore siano gli stessi per chiunque. Come se vi fosse una logica scientifica, una corrispondenza perfetta tra progresso tecnologico – dato dal fotorealismo restituito da una console, ad esempio – e il gusto di tutti i videogiocatori.
Volente o nolente, tutto questo tratta del tentativo di omologare i videogiocatori nel farli sentire di appartenere a questa concezione universale di intendere il videogioco, concezione che stabilisce per loro quale sia il meglio che il videogioco deve offrire.

In estetica il bello è questione soggettiva. La corrispondenza
perfetta tra progresso tecnologico/fotorealismo e gusto/appeal dei
videogiocatori è una strategia di omologazione culturale.

 
Ora, scomodando brevemente la filosofia, molti filosofi hanno affermato come la vera bellezza si mostra solo in quanto nascosta, in quanto velata. E questo a pensarci è esattamente l’opposto di ciò che il fotorealismo grafico tende a fare nella sua ossessione di mostrare il particolare in altissima definizione, di generare la corrispondenza perfetta tra realtà fisica materiale e quella digitale – spesso iperrealista - rappresentata su schermo dal videogioco.
In un certo senso, l’ossessione di risultare sempre aggiornati tecnologicamente, fra nuove console, CPU e schede grafiche che sappiano garantire una rappresentazione fotorealistica della realtà, può essere considerata l’espressione della convinzione che è nel progresso tecnologico che risiede la vera bellezza del videogioco, il segno di una evoluzione oggettiva del videogiocatore e del videogiocare.  Ma per molti filosofi dell’estetica, il bello invece è inafferrabile. Non risiede nella riproducibilità tecnica del reale attraverso un media, bensì emerge proprio dalla separazione tra la vita e la sua rappresentazione artistica, dalla distinzione tra la realtà fisica e la sua imitazione attraverso la rappresentazione fotorealistica digitale in un videogioco.
Ciò per dire che soltanto perché i contenuti grafici e sonori che si offrono alla fruizione sono estremamente realistici, la sensibilità estetica del videogiocatore non si forma secondo una registrazione passiva per cui ad un dato stimolo – mettiamo ad esempio l’incredibile fotorealismo del remake del gioco X – corrisponde un determinato risultato, uguale per tutti.
Così come il supporto fisico-materiale – mettiamo un nuovissimo schermo Oled o quello vetusto di una TV a tubo catodico, attraverso i quali la stessa console traduce la propria espressione grafica - non possiede nulla di oggettivo riguardo al determinare una certa sensibilità estetica o il sentire personale di un videogiocatore.
Ciò per dire che il contatto con le medesime restituzioni audiovisive fotorealistiche, con le grafiche pressoché identiche di PlayStation 5 o di Xbox Serie X, potrebbe comportare una stagnazione nella sensibilità estetica videoludica soggettiva del videogiocatore. Perché come si può mai restare coinvolti dalle medesime restituzioni grafiche fotorealistiche possibili per queste console allo stesso modo in cui erano stimolate l’immaginazione e l’intuizione in passato a contatto con uno ZX Spectrum, o un Commodore 64, secondo la diversa stimolazione audiovisiva che offrivano al videogiocatore?


Inflitrator (1986, Commodore 64, Mindscape, U.S. Gold)


Andando oltre il fanatismo per un brand, la nostalgia, le memorie videoludiche che è possibile costruirsi nel tempo, e andando oltre la retorica che afferma che "le console sono ormai dei PC" – per la quale, tra l'altro, è molto probabile che anche i PCisti abbiano imparato a riconoscere e affezionarsi a specifiche schede grafiche succedutesi nel tempo - quello che resta da chiedersi è dove risiede oggi l'"anima” – chiamiamola così, fra virgolette - di una moderna console. Anima che forse è difficile rintracciare proprio a causa del rapporto estetico che il videogioco ha preteso di stabilire con la realtà, nella sua tendenza a imitarla al massimo.
Ma di nuovo, se la verità e la bellezza che si cercano di rintracciare mediante l’arte diminuisce di appeal, è perché il mondo, nella sua concretezza, nasconde la verità. E in questa imitazione della realtà attraverso la sua rappresentazione fotorealistica nel videogioco, l’espressione grafica videoludica si fa meno originale e artistica, a scapito proprio della sensibilità estetica del videogiocatore.
Non è un caso se, dopo aver visionato trailer e gameplay vari, molti videogiocatori abbiano lamentato come alla fin fine il passaggio alla prossima generazione di console sembri suscitare in loro uno scarso entusiasmo, qualcosa di non così nuovo o speciale.


Le differenze e le specificità rappresentative di una macchina da gioco
sono virate nel tempo dall'esterno (la grafica restituita dai loro chip grafici)
all'interno (vivisezionarle per mostrare l'hardware)



Se molta della discussione culturale sembra oggi concentrarsi sui servizi in abbonamento, sui controller, sulla tecnologia di dissipazione del calore, sulla loro differente forma esterna, o sul vivisezionarle su di un tavolino per mostrare come sono fatte internamente, probabilmente è anche perché, in fin dei conti, sono queste le uniche cose che sembrano contraddistinguere e diversificare le console le une dalle altre.


È possibile trovare simili argomenti, riflessioni e molto altro trattati in esclusiva nella rivista Ludenz, reperibile su www.ludenz.it."