Approfittatene anche voi del fatto che sono in ferie, perchè quando rientrerò dalle vacanze, difficilmente avrò di nuovo il tempo di mettermi al PC per fare qualcosa che non sia legato al lavoro o alla produzione audio/video/cartacea di Ludenz.
Anyway, torno sull'argomento Metal Gear Solid Δ dopo la mia analisi (che trovate qui) perché nel frattempo il mio cervello ha cominciato a rimuginare e dovevo per forza esternare i miei pensieri. Sono passati più di due decenni, ma ricordo ancora bene quando presi il GameCube, usato, da un amico. Non era una scelta casuale: sapevo che da lì a poco sarebbe arrivato Metal Gear Solid: The Twin Snakes e non potevo certo farmelo mancare. Era l’occasione di rigiocare il capolavoro del 1998 in una forma nuova, e l’idea stessa di avere un remake di quella portata mi bruciava nelle mani. Nel “pacchetto“ c’erano anche altri titoli, alcuni entrati subito nei miei ricordi: Medal of Honor: Frontline, Need for Speed: Hot Pursuit 2 e soprattutto Super Mario Sunshine, che ancora oggi considero una delle esperienze più fresche della saga di Mario. Mi è rimasto così impresso che quando Nintendo ha riproposto la collection con Super Mario 64 e Galaxy su Switch, non ho esitato un istante a recuperarla. Poi, ovviamente, arrivò Resident Evil 4, l’esclusiva (per poco) più clamorosa del Cubo, che da sola bastava a giustificare l’acquisto della console. In quella piccola scatola viola c’era un concentrato di ricordi che ancora oggi fanno da sfondo alla mia memoria di Twin Snakes.
E qui c’è un dettaglio che rende tutto ancora più ironico: sia The Twin Snakes che l’originale Metal Gear Solid 3: Snake Eater uscirono nello stesso anno, il 2004. Due direzioni opposte: da un lato il remake controverso del primo capitolo, dall’altro l’episodio che molti considerano il vertice della saga. Oggi, guardando a Delta, non riesco a non pensare a quella coincidenza. Perché proprio il modo in cui è stato curato questo rifacimento mi manda ai matti: un lavoro di superficie, elegante ma timoroso, che stride con la memoria di quel 2004 in cui Kojima da una parte e Silicon Knights dall'altra osavano davvero, anche a rischio di spaccare in due il pubblico.
Quando il remake di Metal Gear Solid uscì, fu inondato di critiche: troppi cambiamenti, dicevano; l’aggiunta della visuale in prima persona e diverse altre meccaniche prese di peso da Sons of Liberty rompeva il delicato equilibrio del level design originale. Prendiamo, ad esempio, la lotta contro Ocelot: in MGS1 bisognava studiare gli spazi, giocare con gli angoli, calcolare i tempi. In Twin Snakes, bastava una rapida inquadratura in prima persona per colpirlo con precisione chirurgica. Lo stesso vale per le guardie nel tanker di Shadow Moses: potevi mirare a distanza, rendendo ridondanti quelle soluzioni di design pensate apposta per forzarti a usare l’ambiente a tuo favore.
Tutto dannatamente vero, eppure, nonostante queste incongruenze, Twin Snakes resta a mio modo di vedere più interessante di quello che oggi è Metal Gear Solid Δ: Snake Eater. Il motivo è semplice: il remake del Cubo, con tutte le sue sbavature, aveva il coraggio di reinterpretare, di sporcarsi le mani. Non si limitava a rifare il trucco a un’icona, ma tentava di riadattarla allo spirito del 2004, quando MGS2 aveva già ridefinito i confini della serie e il videogioco stava accelerando verso una nuova epoca tecnologica.
Le cutscene dirette da Ryuhei Kitamura, con Snake che rimbalza sui missili come se fosse in un film di John Woo, vennero accusate di esagerazione. Eppure oggi quelle stesse sequenze raccontano meglio di mille analisi la tensione di un’industria che voleva fondere cinema e videogioco, alzando l’asticella dello spettacolo interattivo. Erano scene sopra le righe, certo, ma figlie di un’epoca che non aveva paura di osare.
Delta, al contrario, sembra un gioco nato per "non disturbare", ma ottiene l'effetto opposto, pad alla mano.
È un restyle, non un remake citando la mia stessa analisi di cui sopra: aggiorna i volti, le texture, i modelli, ma non osa intaccare le regole del gioco. Non aggiunge, non interpreta, non sbilancia ma conserva: dove Twin Snakes rischiava il ridicolo per voler reinventare, Delta rischia l’insignificanza per non voler cambiare nulla.
È lo stesso problema che ha colpito anche The Last of Us Part I su PlayStation 5: un rifacimento grafico impeccabile, ma che in sostanza non sposta di un millimetro l’esperienza del gioco originale. Siamo di fronte a prodotti che hanno più il profilo di “remaster di lusso” che non di veri remake. Capcom, con i remake di Resident Evil 2, 3 e (in misura minore) Resident Evil 4, ha mostrato invece cosa significhi davvero reinventare un classico: ripensare il design dalle fondamenta, riscrivere sezioni, cambiare l’impianto visivo e sonoro in modo radicale, pur mantenendo intatta l’anima dell’opera. Sono giochi che non si limitano a conservare un monumento, ma lo riportano in vita con una voce nuova, in sintonia con il presente. Lo stesso potrei dire delle vuove versioni di Final Fantasy VII.
Le critiche mosse a Twin Snakes per le meccaniche importate da MGS2 che squilibravano l’impianto, le scene d’azione sopra le righe e tutto il resto... erano almeno sintomi della stessa volontà interpretativa. Si poteva discutere se fosse giusto o sbagliato, ma il gioco parlava una lingua nuova, faceva vedere cosa accade quando si tenta di piegare un classico ai gusti e alle forme del presente. Un’operazione rischiosa, forse fallita, ma comunque viva.
C’è poi un’altra differenza sostanziale: Twin Snakes arrivava a pochi anni dall’originale, eppure aveva il coraggio di modificarlo. Delta arriva dopo due decenni e si presenta come “il modo definitivo” per rivivere Snake Eater. Ma lo fa senza un progetto creativo, senza quel desiderio di ritradurre il mito. In un certo senso, Delta è la rappresentazione plastica di un’industria videoludica che ha paura di disturbare i suoi stessi monumenti, che li mette sotto vetro invece di giocarci. Twin Snakes, con tutti i suoi eccessi, non metteva nulla sotto vetro: provava a riaccendere la fiamma con un altro combustibile, accettando il rischio di bruciarsi.
E se oggi il remake GameCube viene ricordato con diffidenza, è anche perché arrivò in un’epoca in cui la nozione di remake non era ancora cristallizzata. Non c’erano codici stabiliti, né aspettative di “fedeltà assoluta”. Al contrario, era proprio il tempo dei tentativi, degli esperimenti, delle reinterpretazioni coraggiose. Con Delta invece ci troviamo dentro un’epoca di conservatorismo culturale, dove il remake deve rassicurare più che sorprendere, confermare più che reinventare.
Così, paradossalmente, Twin Snakes appare oggi più sincero di Delta.
Nonostante i suoi difetti, nonostante gli sbilanciamenti, nonostante i ninja volanti e gli slow motion esasperati, il remake per GameCube tentava almeno di fare quello che ogni remake dovrebbe fare: restituire un classico in una nuova luce, anche a costo di deformarlo.
Delta, con il suo splendore superficiale e la sua povertà interpretativa, dimostra invece quanto l’industria sia diventata incapace di immaginare i propri fantasmi.