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© LUDENZ 2025 

GIANCLAUDIO PONTECCHIANI e LUIGI MARRONE

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METAL GEAR SOLID Δ non è Snake Eater

2025-08-26 22:56

Logan Singer

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METAL GEAR SOLID Δ non è Snake Eater

Da una parte amo Metal Gear, dall’altra vedo una rappresentazione che mi sembra sbagliata. È come se qualcuno stesse tentando di riscrivere i miei ricordi.

Quando si parla della saga di Metal Gear, io non riesco a trattarla come una serie videoludica qualsiasi. 

Per me non è mai stata solo questo, ma un frammento della mia storia,  un appuntamento che periodicamente ha sempre fatto parte della mia vita. Sappiamo tutto di quello che ci ha portati a questo “nuovo” capitolo, quindi non mi dilungherò a parlare del passato - recente o remoto che sia - ma non posso raccontare Delta senza tornare subito al day-one dell'originale Snake Eater. 
Nel 2004 il mio rapporto con quel gioco è nato ancora prima di inserire il disco nella PlayStation 2. È nato nell’attesa, nell’ansia di procurarmi la copia al lancio, nel viaggio per raggiungere il negozio, nella corsa per volerlo il prima possibile e a qualunque costo.

Qui trovate l'audioracconto di quella giornata assurda, in cui si sente bene quanto il procurarmi il gioco sia stata già parte integrante dell’esperienza. Quel disco non l'ho comprato, l'ho conquistato. E quando finalmente l’ho infilato nella console, la sensazione era chiara: avevo portato a casa non un prodotto, ma un pezzo di me stesso. Un qualcosa che non si dimentica.

 

Ed è per questo che vent’anni dopo, davanti a un remake, non posso semplicemente dire “lo gioco quando torno dalle ferie”. Non funziona così.

Sapevo che Delta sarebbe uscito mentre ero in vacanza, e sapevo già che l’avrei giocato lì (anzi, qui, visto che vi scrivo dalla camera d'albergo mentre il resto della famiglia è finalmente andata a dormire dopo una giornata di intense camminate tra le Alpi). Non c’erano alternative: non avrei mai accettato l’idea di arrivare in ritardo, non con Metal Gear. Mi sono dunque preparato in anticipo con l'idea di sfruttare il Remote Play (meglio di niente): iPad nello zaino, Backbone pronto e Deluxe Edition digitale acquistata solo per avere le 48 ore di anticipo. A proposito: esatto, nessun codice review dedicato alla stampa, perché la copia l’abbiamo pagata noi con i fondi di Ludenz, e per questo ringrazio chi ci sostiene su Patreon e chi dona, perché senza quel supporto non ci sarebbe stato nulla. Anyway, anche con il sostegno economico, resta la mia ossessione personale. Ero fissato a mille, perché MGS è MGS, e non potevo sopportare l’idea di restare indietro.

 

Poi arriva la beffa. Ecco che dopo mesi di connessioni perfette, la mia PS5 decide che proprio lì, proprio adesso, non vuole saperne di Remote Play. E le ho provate tutte, ho persino chiesto a mia suocera se poteva darmi una mano andando da me e controllando le impostazioni della console mentre le dicevo cosa fare al telefono. Nulla. Non potete immaginare il nervoso. Fortunatamente, quando ormai mi ero arreso, è stato Luigi a salvarmi, proponendomi di provare a connettermi alla sua console e giocare comunque tramite l'account “redazionale” condiviso. Ci proviamo, riesco a entrare e così anche a iniziare Delta esattamente allo sblocco. Non come avevo immaginato, non con la mia macchina, ma almeno in tempo.

 

Le prime emozioni arrivano subito. Gli stessi suoni, gli stessi menu, la stessa interfaccia: è come aprire una porta chiusa da vent’anni e ritrovare dentro qualcosa che non credevi di rivedere. Funziona, emoziona, ti colpisce. Ma non è un impatto devastante come poteva essere. Il motivo è semplice: solo un anno fa era uscita la Master Collection, e già lì ero tornato nel mood Snake Eater. Delta non è quindi un salto dopo anni di silenzio, ma una ricaduta ravvicinata. Bello, intenso, ma non esplosivo.

 

Poi arriva la giungla ed è impossibile non restare colpiti. Tecnicamente, Delta è spettacolare: foglie, luci, volti, superfici…. ogni elemento è costruito con cura maniacale. È esattamente la giungla che nel 2004 immaginavo nella mia testa, quando i limiti della PlayStation 2 non potevano rendere quella sensazione, e oggi quei limiti non ci sono più.  Ma non appena muovi Snake (e anzi, già dalle prime cutscene) la magia, comunque, scricchiola.

Le animazioni sono rimaste quelle del 2004: rigide, teatrali, esagerate. Allora funzionavano, perché erano parte di un insieme e perché la grafica stilizzata, i limiti tecnici e la scelta artistica andavano tutti nella stessa direzione. Kojima ha sempre guardato agli anime giapponesi: i personaggi di Metal Gear sono caratterizzati non solo da quello che fanno o dicono, ma anche da come si muovono, e i movimenti esagerati, le pose teatrali e le espressioni marcate servivano a costruire un linguaggio coerente. Oggi, in Delta, quei movimenti finiscono dentro corpi iper-realistici e il risultato è straniante. Non parlo di dettagli marginali: è l’intera grammatica visiva che si spezza. Vedere un personaggio modellato al millimetro muoversi con un gesto che appartiene a un cartoon, ti cattura e respinge nello stesso tempo.

 

E lo stesso problema esplode nel doppiaggio. Le voci originali funzionavano perfettamente su modelli stilizzati: Snake, Ocelot, The Boss, i loro toni teatrali erano parte della messa in scena. Ma su corpi ultra-realistici quelle stesse voci suonano fuori posto. Dove prima c’era coerenza, oggi c’è frattura. Ed è questa frattura che mi blocca, perché ogni volta che un personaggio parla o si muove, mi fa lo stesso effetto del gesso sulla lavagna. Non è una questione tecnica: è una questione estetica. È l’essere sospeso tra due fuochi. Da una parte amo Metal Gear, dall’altra vedo una rappresentazione che mi sembra sbagliata. È come se qualcuno stesse tentando di riscrivere i miei ricordi, e anche se so che non ci riuscirà, la sensazione resta fastidiosa.

 

Ed è questo il punto: Delta non è l’ingresso ideale per chi non conosce Snake Eater. Non lo è affatto. Perché non basta rifare la grafica e ritoccare i controlli (soprattutto se i controlli non sono nemmeno stati riadattati in maniera convincente, ma restano un compromesso). Delta è un RESTYLE, non un remake. È un maquillage. È un corpo realistico rivestito di pelle (di serpente) nuova, ma con ossa e muscoli vecchi, anche se ancora in forma. Chi ha giocato l’originale riesce a reggere questo compromesso perché ha la memoria che fa da collante, ma chi arriva oggi, senza quel bagaglio, rischia di vedere solo un gioco bellissimo fuori, incoerente dentro. 
Non avrei mai pensato di poter scrivere, un giorno, una cosa simile su un MGS,  ma è qui che mi accorgo di quanto fosse potente l’originale. Snake Eater non era realistico, ma era coerente, con le sue texture "semplici", le animazioni rigide, il sonoro compresso: tutto parlava la stessa lingua. E quella lingua era chiara, riconoscibile, completa. Delta invece è in bilico tra un' estetica ultra-realista da un lato e un approccio puramente videogiocoso/stilizzato dall’altro. Un gioco che non sa più a quale scuola appartenere.

Un nuovo giocatore non avrà la memoria emotiva per coprire le crepe. Non vedrà “il remake del mito”, ma un’opera che sembra divisa a metà. Chi invece ci ha già vissuto dentro, come me, potrà almeno aggrapparsi ai ricordi per dare senso al tutto. Ma resta comunque la sensazione che qualcosa non torni. 

 

Mi resta solo un'ultima speranza, perché Metal Gear Solid 3 non è stato solo single player, ma anche… community. Metal Gear Online (entrambe le incarnazioni, con la seconda - quella di MGS4 - davvero top) ai tempi era qualcosa di unico: caotico, creativo, diverso da tutto. Con The Phantom Pain non ha funzionato (l’esperimento è rimasto poco più che una gradevole aggiunta) ma con Delta e la sua futura modalità FOX HUNT, di cui si sa ancora pochissimo, spero ci sia la volontà di riportarlo davvero alla luce. Sarebbe il colpo di scena più grande: non solo rifare Snake Eater, ma ricostruire anche la sua comunità.

 

Alla fine, Delta resta un’opera ambigua. Bello, spettacolare, rispettoso, ma sempre in bilico. Così tanto uguale a Snake Eater da fare il giro ed allontanarcisi. Non è Snake Eater, non può esserlo. È una versione che cerca di entrare nei miei ricordi, ma che non riuscirà mai a sostituirli.